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TARI: Per l’esenzione degli edifici di culto non rileva l’accatastamento dei locali in cat. E/7

27/06/2022
Ai fini della esenzione Tari, occorre accertare non solo che i locali appartengano ad una comunità religiosa, quale che sia il culto da essa esercitato purché non contrario ai principi fondamentali dell’ordinamento, ma anche che nei locali per i quali è richiesta l’esenzione la comunità si riunisca per esercitare il culto e non ad altri fini. Detta verifica deve eseguirsi in concreto e non in astratto e pertanto non è sufficiente la classificazione catastale dei locali come edifici destinati al culto, né si può presumere che tutti i locali così classificati siano effettivamente destinati al culto. È quanto ribadito dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18137 del 6-6-2022.
È necessario che si accerti se effettivamente la parte contribuente abbia dichiarato che i locali siano destinati al culto nella denuncia originaria o in quella di variazione, e che tale effettiva destinazione sia stata debitamente riscontrata in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione; con la precisazione che la mancanza del primo di questi requisiti e cioè la denuncia o la variazione non è emendabile in giudizio, mentre in caso di contestazione lo è il secondo requisito e cioè la prova della effettiva destinazione dei locali (Cass. 2125/2017; Cass. 21011/2021; Cass. 14037/2019; Cass. 31460/2019).
Nel caso di specie, è risultato che in difetto di regolare denuncia da parte della Associazione religioso – dal momento che la denuncia D.Lgs. n. 503 del 1997, ex art. 70, era stata compilata da un soggetto non avente titolo e senza indicare la destinazione d’uso dei locali – il Comune abbia proceduto ad accertare sulla base di rilievi planimetrici quali fossero i locali effettivamente adibiti al culto. Si tratta di un accertamento in fatto che non può essere posto in discussione e che non possa neppure essere contrastato in virtù del rilievo che l’intero edificio sia stato accatastato in E/7, perché una interpretazione coerente con le Direttive Europee impone di accertare se in concreto i locali sono adibiti ad un uso incompatibile con la produzione di rifiuti.
Ciò non interferisce in alcun modo con il diritto fondamentale al libero esercizio del culto, posto che non si vuole mettere in discussione la libertà religiosa, tutelata dalla nostra Costituzione nonché dalle norme sovranazionali e convenzionali, quanto ribadire il diverso principio che chi intende beneficiare di una esenzione fiscale deve offrire la prova della sussistenza dei suoi presupposti (Cass. 04/10/2017, n. 23228); e in particolare per quanto attiene alla Tarsu, ribadire che chi richiede l’esenzione deve anche assolvere all’onere della preventiva specifica indicazione, in una regolare denuncia ai sensi del D.Lgs. n. 503 del 1997, artt. 62 e 70, di quali sono le superfici non tassabili.
Per i giudici, la denuncia (o variazione) assolve infatti alla finalità di portare a conoscenza dell’ente impositore quali sono i locali occupati o detenuti e quelli per i quali sussistono – secondo il contribuente – i requisiti della esenzione, così da consentire all’ente di avere un quadro completo della produzione di rifiuti sul territorio, del soggetto responsabile, e di avviare gli opportuni controlli, nonché di organizzare la gestione del servizio; al tempo stesso essa integra la dichiarazione della volontà di avvalersi del beneficio per i locali indicati come superficie non tassabile.

 

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