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Spese di rappresentanza, la Corte dei conti inviata l’ente a recuperare le spese illegittime

17/01/2022
Con deliberazione n. 166/2021, la Corte dei conti Sez. Piemonte, nell’ambito dell’attività di controllo posta in essere ai sensi dell’art. 1, commi 166 e seguenti, della Legge 23 dicembre 2005, n. 266, con riguardo alla relazione sul rendiconto dell’esercizio 2020, redatta dall’Organo di revisione, oltre ad accertare diverse irregolarità, si è soffermata anche sui criteri di legittimità delle spese di rappresentanza. In particolare, da una verifica del prospetto delle spese di rappresentanza sostenute dall’Ente, è emerso che non tutte avrebbero i requisiti previsti dalla giurisprudenza contabile consolidatasi in materia, con riferimento alle voci riferite a “pranzo di rappresentanza” e “doni natalizi”.
Il Collegio ricorda che le spese di rappresentanza assolvono ad una funzione rappresentativa dell’Ente, e, cioè, si sostanziano in quelle spese che, in stretta correlazione con le finalità istituzionali dell’ente, soddisfano l’obiettiva esigenza dello stesso di manifestare se stesso, e le proprie attività, all’esterno e di mantenere ed accrescere il prestigio dell’ente nel contesto sociale in cui si colloca (carattere dell’inerenza); nonché l’interesse di ambienti e soggetti qualificati, per il migliore perseguimento dei propri fini istituzionali e per i vantaggi che, ad esso o alla comunità amministrata, derivano dall’essere conosciuto e apprezzato nella propria attività di perseguimento del pubblico interesse (carattere dell’ufficialità). La violazione di tali criteri comporta l’illegittimità della spesa sostenuta dall’Ente per finalità che fuoriescono dalla rappresentanza. Sotto il profilo gestionale, l’economicità e l’efficienza dell’azione della pubblica amministrazione impongono il carattere della sobrietà e della congruità della spesa di rappresentanza sia rispetto al singolo evento finanziato, sia rispetto alle dimensioni e ai vincoli di bilancio dell’ente locale che le sostiene. Pur in mancanza di norme di legge che stabiliscono criteri e condizioni per la legittima effettuazione delle spese di rappresentanza, la giurisprudenza contabile ha enucleato i tratti distintivi delle stesse precisando che:
– esulano dall’attività di rappresentanza quelle spese che non siano strettamente finalizzate a mantenere o accrescere il prestigio dell’ente verso l’esterno nel rispetto della diretta inerenza ai propri fini istituzionali;
– non rivestono finalità rappresentative verso l’esterno le spese destinate a beneficio dei dipendenti o amministratori appartenenti all’Ente che le dispongono;
– non devono porsi in contrasto con i principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all’art. 97 della Costituzione. Inoltre, dalla copiosa casistica giurisprudenziale in materia si ricava che non costituiscono spese di rappresentanza:
– gli atti di mera liberalità;
– le spese di ospitalità effettuate in occasione di visite di soggetti in veste informale o non ufficiale;
– l’acquisto di generi di conforto in occasione di riunioni della Giunta o del Consiglio Comunale;
– omaggi, pranzi o rinfreschi offerti ad Amministratori o dipendenti;
– ospitalità e/o pasti a favore di fornitori dell’ente o di soggetti legati all’ente da rapporti di tipo professionale o commerciale (affidatari di incarichi, consulenze, collaborazioni, ecc.);
– spese connesse con l’attività politica volte a promuovere l’immagine degli amministratori e non l’attività o i servizi offerti alla cittadinanza;
Nel raccomandare ad attenersi scrupolosamente a quanto affermato dalla giurisprudenza contabile consolidatasi in tema di spese di rappresentanza, anche attraverso la predisposizione e approvazione di un Regolamento ad hoc a cui attenersi, i giudici invitano l’ente a valutare, altresì, il recupero delle somme sostenute illegittimamente.

 

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