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Limiti ai compensi dei componenti del CDA delle società partecipate

29/08/2022
La Corte dei conti, Sez. Sardegna, con deliberazione n. 124_2022, fornisce utili indicazioni in merito ai compensi agli amministratori di società a totale partecipazione pubblica e alla corretta interpretazione dell’art. 11, commi 6 e 7 del d.lgs. 175/2016 (TUSP) e dell’art. 4, comma 4 del d.l. 95/2012. In particolare, il Comune istante chiede di conoscere l’interpretazione delle predette norme “nei casi in cui non vi fosse una spesa sostenuta nel 2013 o se essa, pur presente, appaia oggettivamente e motivatamente del tutto irrisoria ed anacronistica”.

Il Collegio precisa che, per giurisprudenza consolidata, il vincolo di cui all’art. 4 comma 4 del citato d.l. 95/2012,
a cui l’art. 11 co. 7 del TUSP fa rinvio, secondo cui il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori delle società, ivi compresa la remunerazione di quelli investiti di particolari cariche, non può superare l’80 per cento del costo complessivamente sostenuto nell’anno 2013, è esteso a tutte le società a controllo pubblico, comprese quelle a partecipazione pubblica totalitaria. Nelle more dell’adozione del d.m., che avrebbe dovuto definire gli indici quali-quantitativi per la ripartizione in fasce delle società in controllo pubblico (ex art. 11, comma 6 d.lgs. 175/2016), il limite previsto dall’art. 4 comma 4 del d.l. 95/2012 (a cui il citato art. 11 fa rinvio), continua a trovare applicazione.

Unica ipotesi derogatoria al limite dell’art. 4, comma 4 del D.L. n. 95/2012, come individuato dalla giurisprudenza contabile (Sez. Liguria, del. n. 29/2020), riguarda l’assenza di spesa per l’annualità di riferimento, per mancanza del costo-parametro che dovrebbe fungere da limite. In particolare, in assenza di oneri nell’esercizio 2013, in conseguenza della rinuncia al corrispettivo dell’amministratore all’epoca in carica, si è ritenuto necessario “considerare, a ritroso, l’onere sostenuto nell’ultimo esercizio nel quale risulti presente un esborso a tale titolo con l’indefettibile vincolo della “stretta necessarietà” enucleato dalla sopra citata deliberazione n. 1/2017/QMIG, resa in sede nomofilattica dalla Sezione delle Autonomie.(……) Tale computo deve essere contemperato, inoltre, con la massima quantificazione normativa attualmente disponibile di tale spesa imposta dall’art. 11, comma 7, TUSP (limite massimo di euro 240.000) che, de iure condendo, dovrà limitare l’esercizio del potere regolamentare ministeriale.

Riguardo all’ipotesi di spesa sostenuta nel 2013, ma oggettivamente e motivatamente del tutto irrisoria ed anacronistica, la Sezione ritiene che il limite previsto dall’art 4, comma 4, d.l. 95/2012 ha carattere tassativo e, in difetto di espressa previsione di legge, non può essere derogato in conseguenza di un’evoluzione rispetto alla configurazione originaria della società e ad un’evidente incongruenza degli emolumenti attribuibili in funzione della citata applicazione di siffatti limiti.

 

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