La riduzione tariffaria non opera infatti quale risarcimento del danno da mancata raccolta dei rifiuti, e men che meno quale “sanzione” per l’amministrazione comunale inadempiente, bensì al diverso fine di ripristinare – in costanza di una situazione patologica di grave disfunzione per difformità dalla disciplina regolamentare – un tendenziale equilibrio impositivo (entro la percentuale massima discrezionalmente individuata dal legislatore) tra l’ammontare della tassa comunque pretendibile ed i costi generali del servizio nell’area municipale, ancorché significativamente alterato, correlazione sulla quale si basa la Tarsu, senza con ciò contraddirne il già descritto carattere prettamente tributario (Cass. S.U. n. 14903 del 2010; Cass. n. 4283 del 2010 ed altre), e non privatistico- sinallagmatico.
Soltanto in tale situazione -di disfunzione temporanea- che può darsi ingresso ad una valutazione di imprevedibilità del disservizio e, per questa via, di non imputabilità dello stesso alla sfera tecnico-organizzativa dell’amministrazione comunale; al contrario, in presenza di una situazione di disfunzione non temporanea della raccolta rifiuti, ma apprezzabilmente protratta nel tempo (qual è quella qui lamentata dalla società contribuente), la legge attribuisce all’utente – in presenza di un’accertata emergenza sanitaria – la facoltà di provvedere a proprie spese con diritto allo sgravio parziale su domanda documentata, e tuttavia “fermo restando il diritto alla riduzione. È quanto evidenziato dalla Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 25/01/2023, n. 2374.