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Consiglio di Stato, alla Corte costituzionale la questione di legittimità del mancato pagamento degli interessi degli enti in dissesto

28/07/2021
Il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 5502 del 21/07/2021, pronunciandosi sul ricorso presentato da un Comune contro una Società, avverso la sentenza del TAR Lazio con la quale è stato ordinato all’Ente di procedere al pagamento degli interessi maturati sul credito originato dal lodo arbitrale in linea capitale dopo la dichiarazione del precedente dissesto, ha dichiarato la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 248, comma 4, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, in relazione agli artt. 3, 5, 81, 97, 114 e 118 Cost. nella parte in cui prevede che dalla data in cui è deliberato il dissesto e sino all’approvazione del rendiconto di cui all’art. 256 dello stesso testo unico i debiti insoluti a tale data e le somme dovute per anticipazioni di cassa già erogate non producono più interessi né sono soggetti a rivalutazione monetaria.
Nel caso di specie, è emerso che il Comune, a causa dell’insostenibilità per il bilancio comunale della somma liquidata in sede arbitrale, ha dichiarato il dissesto finanziario, ai sensi degli artt. 244 e ss. del TUEL. In seguito all’adesione del Comune alla procedura semplificata ex art. 258 e della conseguente erogazione dell’anticipazione di liquidità del Ministero dell’interno prevista dall’art. 33 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, il credito della Società è stato inserito nella massa passiva della procedura e successivamente pagato per l’intero importo ammesso in linea capitale, oltre che per gli interessi maturati fino al momento della dichiarazione di dissesto. Chiusa la gestione liquidatoria con l’approvazione del rendiconto ai sensi dell’art. 256 del TUEL, la Società ha richiesto il pagamento degli interessi moratori maturati successivamente alla dichiarazione del dissesto.
Secondo il Comune, il pagamento nella procedura di dissesto degli enti locali dell’intera sorte capitale del credito ne avrebbe determinato l’estinzione, ciò sull’assunto secondo cui l’art. 248, comma 4, TUEL nel disporre che dalla data in cui è deliberato il dissesto dell’ente locale i debiti insoluti «non producono più interessi né sono soggetti a rivalutazione monetaria», prevede un regime di inesigibilità temporanea degli accessori del credito non soddisfatto integralmente per sorte capitale. Inoltre, per l’Ente, l’onere riveniente dal pagamento degli interessi maturati sul credito in linea capitale dopo la dichiarazione del precedente dissesto sarebbe insostenibile per il proprio bilancio, con la conseguenza di dover dichiarare un nuovo dissesto.
Per giurisprudenza costante, la normativa che dispone il blocco della rivalutazione monetaria e degli interessi, in relazione ai debiti degli enti locali in stato di dissesto finanziario, è stata interpretata nel senso che anche dopo la dichiarazione di dissesto continuano a maturare sui debiti pecuniari degli enti dissestati interessi e rivalutazione, restando soltanto escluse l’opponibilità alla procedura di liquidazione e l’ammissione, alla massa passiva, degli interessi e della rivalutazione maturati successivamente alla dichiarazione di dissesto e fino all’approvazione dell’apposito rendiconto. In altri termini, la disposizione di cui all’art. 248, comma 4 del TUEL, secondo cui i debiti insoluti alla data di dichiarazione del dissesto finanziario dell’Ente locale non producono interessi, né rivalutazione monetaria avrebbe carattere meramente sospensivo e non preclude all’interessato – una volta esaurita la gestione straordinaria con la cessazione della fase di dissesto – di riattivarsi per la corresponsione delle poste stesse nei confronti dell’Ente risanato, tanto che “in tema di blocco della rivalutazione monetaria e degli interessi in relazione ai debiti degli enti locali in stato di dissesto finanziario, il termine di prescrizione dei diritti vantati nei confronti dell’ente locale continua a decorrere regolarmente nel periodo del dissesto”. Pertanto, in coerenza con l’obiettivo primario dell’istituto del dissesto finanziario dell’ente locale, consistente nel suo stabile risanamento, secondo la Sezione, un nuovo dissesto costituisce per l’ordinamento giuridico un’evenienza in grado di frustrare le finalità dell’istituto. Infatti, con il riespandersi degli accessori del credito, divenuti temporaneamente inesigibili ai sensi dell’art. 248, comma 4, per tutta la durata della procedura di dissesto, di esso tuttavia finisce per avvantaggiarsi in primo luogo il singolo creditore commerciale, benché già remunerato a tassi di mercato. A ciò si contrappone l’ingiustificato sacrificio della collettività di cui il Comune è ente esponenziale, esposto al rischio di un nuovo dissesto e alle negative ripercussioni da esso derivante tanto sul piano della continuità delle funzioni amministrative e dei servizi pubblici quanto sul piano economico, per le azioni di riequilibrio del bilancio rese necessarie dall’apertura della nuova procedura. La soluzione imposta per superare l’aporia così venutasi a creare sarebbe quella di considerare estintivo il pagamento integrale del credito nell’ambito della procedura di dissesto, per sorte capitale ed interessi maturati al momento della sua apertura. Per tali ragioni, il Consiglio ha sospeso il giudizio d’appello sollevando la questione di legittimità dell’art. 248, comma 4, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267.

 

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